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FENOMENI DI BRIGANTAGGIO A MAMMOLA E NEL CIRCONDARIO DI GERACE DAL 1860 AL 1870 |
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di Isabella Loschiavo - (I/a parte) - da: http://www.sosed.it/ |
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I l brigantaggio in Calabria era esploso prima dell’Unità d’Italia per l’oppressione dei ceti possidenti e per la mancata rivoluzione agraria. La dominazione borbonica aveva generato lacerazioni sociali sotto vari feudatari prediligendo la classe baronale e sottoponendo i cosiddetti "bracciali" a dure vessazioni. Il marchese Nunziante, comandante superiore delle Calabrie unite, aveva autorizzato la costituzione di Guardie nazionali per tutelare l’ordine pubblico, assegnando premi a coloro che si fossero distinti. Ricorreva anche alle taglie per agevolare l’arresto di elementi ritenuti pericolosi. I briganti non si limitavano a depredare, ma perpetravano sequestri di persona, tanto che lo stesso Marchese Nunziante richiamava ad un maggiore controllo e severità le Guardie urbane e le Squadriglie. Il governo borbonico non aveva trovato l’antidoto al male che corrodeva la società calabrese. Durante la spedizione dei Mille, molti carcerati per delitti comuni erano riusciti ad evadere e, non pochi di essi, avevano combattuto nelle file dei volontari sino all’ultima battaglia. Speravano in un’amnistia generale, ma il nuovo governo italico non concesse loro la libertà, per cui si diedero alla macchia. Le pendici del monte Pollino, la Sila, i boschi del Lamato e del Mesima, l’Aspromonte offrivano ricovero alle comitive di ladri e ai soldati disertori che vi si annidavano. Del circondario di Gerace era segnalato un Tommaso Romeo di Castelvetere e sui contrafforti dell’ultimo Appennino un Ferdinando Mittica di Platì: arrestato una volta dalle guardie di Ardore e chiuso in carcere a Gerace, fuggì e riuscì a formare un gruppo di malfattori e soldati del vecchio esercito. Non si arrese nemmeno agli ordini del ricco liberale Francesco Oliva che aveva il compito di persuadere il brigante a sciogliere la comitiva, ma non si mosse perché avvertito che gli era stato teso un agguato tra le montagne di Cirella. L’intendente Spanò-Bolani scriveva al Ministero degli Interni l’1 agosto 1860 comunicandogli che dai rapporti del Sottintendente di Gerace aveva appreso che vari disordini erano avvenuti in alcuni comuni di quel Distretto. Perciò "aveva interessato il Comandante territoriale che spedisse in Gerace il distaccamento di linea da essere distribuito in quei Comuni per poter cooperare colla Guardia nazionale al mantenimento dell’ordine pubblico". Precisava che la causa prima di ciò era "un forte partito reazionario, che ha capo e fomento in una potente famiglia di Gioiosa, che coi suoi seguaci e proseliti perturba l’indole di quelle ignoranti popolazioni, facili ancora a venir sedotte dallo stesso partito di reazione nelle idee di comunismo e sovversione, per trarle poi malvagiamente ai loro fini, di discreditare e poi distruggere l’attuale libero Governo" (1). Riteneva, infine, che il Sottintendente era debole e timido per cui era stato richiamato ad un maggiore accorgimento e avvedutezza. Il sindaco di Roccella, Giuseppe M. Cappelieri, rispose all’Intendente di Reggio Calabria il 4 agosto 1860 rassicurandolo che nella parte orientale del Distretto regnava calma e che dalle Autorità giudiziarie e municipali del Capoluogo era stato informato che ovunque c’era calma, ordine e tranquillità. Si era solo notato "un qualche conato di reazione comunista, provocato da coloro che, gente essendosi di perduta morale, sognerebbe il ritorno dei tristissimi tempi di pria, e che a comprimerli è pur sufficiente la solerzia della Guardia nazionale" (2). Negò che i tre individui avvistati nel bosco di Sant’Agata potessero essere definiti banda armata, perché si era accertato fossero persone del Comune di Bagnara sfuggite alla legge. Lo informava, altresì, che esisteva prima una cosiddetta "Camerilla" reazionaria che aveva per convegno il Convento dei Minori Osservanti riformati di Gerace, dove solevano accedere le notabilità reazionarie del paese e gli agenti della vecchia polizia. Deprecava la diffusione delle idee comuniste nel paese ad opera di Nicola Mirarchi, ed esponeva le sue lamentele perché contro costoro non si erano adottate misure preventive. Il 5 agosto 1860 il Sottointendente Giuseppe Zigarelli scrisse all’Intendente di Reggio Calabria riportando una comunicazione urgente del Controllore dei dazi della Marina di Siderno, la quale riferiva: "Ieri, se non fosse stata l’operosità della famiglia dei signori Falleti, sarebbe uscita per il paese una bandiera di nazione piemontese, diretta da D. Donato Cupido apostata, D. Pasquale Scorsaface, disturbatore dell’ordine pubblico, D. Antonio Scorafave, apostata, e Francesco Galluzzo alias Moro, con altri otto e dieci disperati, per gridare Viva Vittorio Emanuele e Garibaldi. Lo passo alla conoscenza di Lei per quello che crederà opportuno". Zigarelli concludeva dicendo che aveva interessato il Regio Giudice del Circondario per approfondire e riferire sull’accaduto. Dopo il 1861 la rivolta era fomentata dalle forze ostili all’unità, come la monarchia borbonica e i gruppi legittimisti di altri paesi. Lo Stato italiano per domare la ribellione impiegò 120.000 uomini e sottopose a dure rappresaglie la popolazione delle campagne. Il prefetto Cornero informava, in data 16 febbraio 1862, i Prefetti, i Sindaci, i Tesorieri, i Ricevitori e i Cassieri della provincia della Calabria Ultra Prima che il Ministero dell’interno stava per nominare una Commissione in Napoli coll’incarico di amministrare e distribuire le somme che si stavano raccogliendo a titolo di sottoscrizione per estirpare il brigantaggio. Il 31 agosto dello stesso anno il generale d’armata, regio Commissario straordinario per le province siciliane, Cialdini, impartiva ai Comandanti delle divisioni e sotto Divisioni militari e ai Comandanti di corpi di truppa delle disposizioni su come sgominare i briganti. Ordinava tra l’altro che tutti gli avanzi delle bande garibaldine sarebbero stati considerati prigionieri di guerra, e come tali trattati, quando si fossero consegnati ad un’autorità militare nel termine di cinque giorni dalla pubblicazione del manifesto. Trascorso tale termine, sarebbero stati considerati come briganti. Nonostante i provvedimenti restrittivi, fenomeni di brigantaggio esplosero in tutti i distretti della Calabria Ultra e Citra, e furono segnalati telegraficamente. Un telegramma del 13 luglio 1864 informava i Carabinieri di Polistena e Cinquefrondi che il giorno precedente era avvenuto nel territorio di Mammola un conflitto tra dieci briganti e tre cittadini diretti alla fiera di Soriano, dei quali uno era rimasto morto, e un altro a nome Nicola di Domenico di Castelvetere ferito e spogliato si era rifugiato nel territorio di Maropati, nella casina di Vincenzo Cordiano. Si ignorava dove si fosse diretto il terzo. Si aggiungeva che si erano avute assicurazioni da Michele Manno fu Rocco di Giffone che non si conosceva la direzione presa dai briganti. Nella stessa data il Sindaco di Cinquefrondi telegrafava al Prefetto di Reggio di aver riferito al Capitano della terza Compagnia di Maropati che il 12 luglio era avvenuto un conflitto sulle montagne di Mammola in Contrada Croceferata con una banda di 10 briganti che dal vestire e dal linguaggio sembravano cosentini. Ma il giorno dopo, cioè il 14 luglio 1864, perveniva una smentita da parte del Sottoprefetto Giusti al Prefetto di Reggio Calabria. Il telegramma chiariva che non era mai comparsa la comitiva brigantesca sulle montagne di Mammola e aggiungeva: "Anche carabinieri hanno fatto assicurazioni simili. Trattasi affare privato. Nicola Taranto da Castelvetere trovasi già arrestato da carabinieri qual imputato di omicidio nel fatto che ha dato vita alla diceria comparsa comitive" (3). In pari data il sottoprefetto Sicardi informava il Prefetto di Reggio che il Sindaco di Mammola aveva assicurato che quel tenimento era tranquillissimo. Non si riscontrava alcuno armato. "Di tal che forze regolari spedite neppur perlustrano montagne ove ieri guardaboschi sequestrarono un uomo ed un animale per danni forestali". In merito a Nicola Taranto il Prefetto telegrafava al Sottoprefetto di Palmi che quegli era stato arrestato dai carabinieri e ferito con palline sulla fronte. Sottolineava che l’imputato aveva riferito "non esistere voluto brigantaggio, essere stato ieri ore 16 aggredito nel suo fondo, poco distante da Castelvetere da Pietro Ciricosta, Domenico Nesci ed Ilario Capece suoi paesani, i due primi armati di fucili militari, l’ultimo di ronca, mandati da Ilario Ieraci per ammazzarlo. Sparò anch’egli un colpo di fucile e fuggì. Vuolsi uno morto. Sembrano svaniti i sospetti banda armata". Lo stesso Prefetto scriveva inoltre ai Procuratori di Gerace e di Palmi, confermando che non si era trattato di una banda di briganti, ma di un conflitto d’armi per inimicizia personale. Richiamava, perciò, l’attenzione sulle voci allarmanti di "presunte apparizioni di briganti e di bande armate di Mammola, che si ripetono con insistenza e forse col maligno scopo di suscitare allarmi". Si impegnava, quindi, di interessare il Pubblico Ministero ad aprire una formale inchiesta giudiziaria per scoprire i colpevoli e ristabilire la pubblica sicurezza. Come si evince da altre lettere successive, come per esempio da quella inviata il 20 dicembre 1889 dal Sottoprefetto del Circondario di Gerace al Prefetto, alcuni cittadini scontenti delle nuove sanzioni economiche, delle leggi sull’imposta che colpivano le classi povere, fomentavano l’ambiente. Si ribadisce, perciò, l’inesistenza di briganti nel territorio di Mammola e si definisce "sogno di mente inferma" un cartello affisso nella cittadina, che probabilmente denunciava fatti turbativi. La lettera suddetta concludeva infondendo fiducia nella Sicurezza Pubblica che procedeva di bene in meglio "avendo spiegata una sollecitudine commendevole". Assicurava, altresì che aveva richiamato i sindaci "all’esatta osservanza del debito che loro incombe di far rapporti giornalieri, nonché pronte circonstanziate relazioni dei fatti criminosi, degli avvenimenti fortuiti e di ogni altro rimarchevole accaduto". In altri rapporti fatti dal Sottoprefetto del Circondario di Gerace al Prefetto si comunicava che gli episodi delinquenziali provenivano dalla provincia di Catanzaro "funestata dal brigantaggio", con cui confina. In particolare, il 14 ottobre 1864, il Sindaco di Monasterace avvisava che "una banda di otto grassatori armati di tutto punto aveva aggredito la ciurma di Santoro Michele, mentre raccoglieva agrumi nelle vicinanze di fiume Assi che divide questo Circondario da quello di Catanzaro. Il Santoro erasi salvato con la fuga, ricoverandosi in Monasterace" (4). Si era scoperto che una comitiva di sei persone era apparsa il giorno precedente nella contrada Botteria, territorio del confinante Comune di Guardavalle, per sequestrare il Santoro, ma avendo colà trovato una resistenza inattesa si era spinto oltre il fiume Asse invadendo il mandamento di Stilo. Il comandante delle Guardie nazionali di Stilo, Crea Bono, spedì diversi esploratori per raccogliere notizie intorno alla direzione presa dai malviventi, e dispose dei movimenti di milizie cittadine e dei carabinieri da eseguirsi di concerto con i funzionari della seconda Calabria. Nel suo rapporto definiva brigantesca comitiva quella che aveva tentato il rapimento, ed indigeni ladruncoli gli individui veduti il 28 settembre e il 3 ottobre in Stignano e Placanica. Nel 1865 cresceva il sospetto sul brigantaggio tant’è che il Maggiore Pallavicini ordinò l’impiego delle Guardie nazionali, perché molte milizie cittadine avevano abbandonato la persecuzione dei briganti all’azione isolata dei soldati. La sottoprefettura del Circondario di Gerace fu incaricata il 5 aprile del 1865 di diramare ordini precisi con appositi corrieri ai Sindaci dei paesi di Stilo, Bivongi, Pazzano, Camini, Monasterace, Riace, Stignano, Grotteria, San Giovanni, Gioiosa, Martone, Mammola, Caulonia e al Maggiore della Guardia Nazionale di Stilo, i quali avevano assicurato "di aver disposto continue e benintese perlustrazioni in modo da respingere qualsiasi invasione di malviventi, dietro i necessari accordi colle rispettive Stazioni di Reali Carabinieri e comuni viciniori". La lettera inviata al Prefetto puntualizzava che il Sindaco e il Maggiore della Milizia cittadina di Stilo avevano dichiarato di essersi messi d’accordo con i delegati di Badolato e Serra, con i sindaci, le Guardie nazionali e i Carabinieri più vicini a quel territorio della limitrofa provincia di Catanzaro. Il consigliere reggente della Sottoprefettura del Circondario di Gerace aggiungeva "ho fiducia che il brigantaggio se anche perseguitato cercasse di spingersi in questo Circondario, ne verrebbe immediatamente respinto ed oppresso" (5). Sempre nel 1865 da un rapporto eseguito dalla Prefettura scaturisce che a Mammola, anche se non venivano segnalati fatti di rilievo per quanto riguarda scontri e rappresaglie, sussistevano contrasti sociali e diatribe tra opposte fazioni. Infatti ecco cosa si scrive: "E’ un capoluogo di mandamento segnalato per spirito reazionario. Vi sono due partiti estremi: il Repubblicano ed il reazionario borbonico. Il primo (che si dice costituitosi in loggia massonica) è rappresentato dai signori: Piccolo Giuseppe medico; Agostino Carmelo medico; Piccolo Fortunato possidente; Carabetta Francesco sacerdote; Colaci Pasquale ufficiale; Albanese Antonio sacerdote e Bruzzese Nicodemo pittore. Essi tengono spesso delle riunioni specialmente nell’Ufficio postale e sono in corrispondenza col Calfapietra di Bovalino, il quale suole avere convegno fuori del paese. Il partito clericale borbonico sarebbe rappresentato dai Signori Scala Domenico e Cav. Spina La Scala. La Scala era sotto ufficiale nel disciolto esercito borbonico - capo d’ufficio di Intendenza per favore sovrano; dopo il 1860 emigrò in Roma, ove visse a spese dell’ex re Francesco II. A Napoli fu carcerato. In Mammola tuttora dimora il sedicente gentiluomo toscano sig. Conte Bordioli, cavaliere e agente del suddito spagnolo Conte Mathien di cui amministra i tenimenti in vicinanza di quel comune. E’ un personaggio sempre misterioso, malvisto in paese, da taluni segnalato per borbonico, da altri per murattista." (6). (continua)NOTE 1) Vittorio Visalli - I Calabresi nel Risorgimento Italiano - vol II - Torino - Tipografia Editrice G. Tarizzo e figlio - pag. 4332) Idem - pag. 4343) Archivio di Stato di Reggio Calabria - inv. 34-busta 60 - brigantaggio4) Archivio di Stato di Reggio Calabria inv. 34-busta 605) Archivio di Stato di Reggio Calabria inv. 34-busta 616) Archivio di Stato di Reggio Calabria inv. 34-busta 64. |
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